POW vs POS - ALCUNE CONSIDERAZIONI
Oggi (Settembre 2022) la blockchain di Bitcoin, la più capitalizzata al mondo, conta più di 42 milioni di indirizzi con saldo diverso da 0.
Di questi 42 milioni, pensate, ben il 92% ha un saldo inferiore a 0.1 BTC, circa 2000 € al controvalore attuale di mercato.
Al contempo, solamente i Top 100 indirizzi più ricchi
detengono oltre il 15% dei bitcoin circolanti.
A questo punto il lettore potrebbe domandarsi se una distribuzione similmente sbilanciata della ricchezza non possa in qualche modo compromettere la decentralizzazione del network. La risposta è perentoria: NO!
Una blockchain come Bitcoin basata su un algoritmo di consenso POW (Proof of Work) gode della distribuzione dei nodi completi all'interno di ognuno dei quali si trova una copia identica e sincronizzata del registro delle transazioni e della dislocazione dei nodi minatori, in un sistema di governance molto ben equilibrato. La sua specifica decentralizzazione dunque è un fattore puramente tecnico che non ha nulla a che vedere con la distribuzione degli asset.
Recentemente è stata stimata una spesa teorica di 9 miliardi di dollari di hardware (equipaggiamento che non esiste nemmeno lontanamente) e ben 18 milioni di dollari al giorno di energia elettrica per alimentare e raffreddare una simile mining farm ciclopica, al fine di condurre con successo (temporaneo) un attacco del 51% alla rete Bitcoin, validando e propagando falsi blocchi, includendo in essi transazioni farlocche (double spending).
La totalità degli elementi sopracitati fanno oggi di Bitcoin la rete piú sicura e resiliente al mondo.
Tuttavia, un simile livello di sicurezza ha un costo in termini energetici spesso al centro di polemiche di insostenibilitá ambientale.... del tutto fuorvianti!
Di seguito, secondo i dati diramati dal recente
briefing Q2 2022 del Bitcoin Mining Council promosso dal CEO di Microstrategy Michael
Saylor in data 19 Luglio 2022, si evince come l'impatto energetico di Bitcoin
rappresenti soltanto lo 0.15% del consumo globale. È altresì evidente come, a
livello ambientale, il mining di Bitcoin sia già un'attività sempre più protesa
verso le energie rinnovabili con un 59% sul totale (253 TWh), dato in crescita anno su
anno che lo elegge a prima attivitá industriale ecosostenibile al mondo. Non si
può evitare di sottolineare infine uno sviluppo del 46% dell'efficienza
tecnologica del network che è passata da 14.4 Exahash per Gigawatt nel q2 del
2021 a 21.1 EH/GW nel q2 del 2022.
Personalmente sono del parere (e non solo io) che il fine giustifica i mezzi: ritengo doveroso tenere la questione sotto i riflettori in modo da stimolarne un sempre più virtuosto sviluppo green ma, al contempo, credo che chi critica Bitcoin, appellandolo sommariamente come 'un baraccone energivoro fine a se stesso', o non ha capito nulla riguardo alla sua innovativa utilità o è colluso con conflitti d'interesse.
La stesura del presente articolo si colloca, non a caso, alla viglilia del Merge, evento tecnico sul protocollo Ethereum molto atteso e chiacchierato previsto per la notte tra il 14 e il 15 Settembre.
La seconda blockchain per capitalizzazione passerá, dopo un lungo periodo di sperimentazione in testnet, ad un algoritmo di consenso POS (Proof of Stake) che prevede la possibilità di generare un validator node con il semplice blocco di 32 ether in uno smart contract apposito, avendo quindi accesso ad una sorta di sorteggio dell'entitá che minerá il prossimo blocco della catena; tutto ciò senza più alcuna particolare componentistica hardware e soprattutto senza dispendio energetico.
Messa giù cosí la POW sembra la panacea di tutti i mali... E spesso questa è la narrativa che ci impacchettano per bene con tanto di fiocchetti green; ma c'è di più.
Diversamente della POW, la POW prevede che la decentralizzazione dipenda in maniera inequivocabile dalla distribuzione degli asset stessi fra gli attori di mercato. Data la soglia d'accesso piuttosto cospicua x un investitore retail (32 ETH sono circa 50 mila € al controvalore odierno), gli investitori più abbienti e le societá disporranno senz'altro di un maggior numero di 'biglietti della lotteria'.
Ma ciò che ritengo rappresenti la peggior minaccia alla decentralizzazione di Ethereum 2.0 sono gli staking providers, societá di intermediazione che faranno staking conto terzi, avvicinando questo modello ad un Delegated-Proof of Stake.
Scrivo questo poichè la Beacon Chain (nome attibuito dall'Ethereum Foundation alla catena POS) è giá attiva dietro le quinte dal Dicembre 2020, consentendo in questi ultimi 21 mesi agli eth-hodlers di bloccare monete fino al Merge per sostenere lo sviluppo di questa improvement, ricevendo una ricompensa in ETH. Durante questo periodo i maggiori crypto exchanges hanno sviluppato servizi di staking condiviso consentendo ai loro clienti retails di partecipare allo staking anche con quantitativi criptomonetari minori di 32 ETH. La stessa cosa hanno fatto società di custodia come Lido Finance, la più grande custody-staking pool.
Ebbene, rispetto agli oltre 14 milioni di ETH totali ad oggi bloccati sulla Beacon chain, il 73% è gestito da exchanges e staking providers, un dato assolutamente troppo alto per dormire sonni tranquilli nei confronti di quel tallone d'Achille chiamato 51% attack, problema al quale, comunque, Vitalik Buterin & Company stanno giá da tempo cercando rimedio.
CONCLUSIONE:
Le informazioni relative a questo meraviglioso settore sono spesso incomplete, spesso distorte e caricate di direzionalitá emotiva dietro cui si celano i più svariati interessi.
Dal canto mio non faccio mistero di mantenere (da tempo e con convinzione) posizioni sia su BTC sia su ETH che non ho mai identificato come protagonisti di un dualismo; al contrario, dato il loro diverso ma complementare caso d'uso, membri essenziali della finanza libertaria del futuro.
Diego Chiapperini